Si conosce che il Dlgs 231/01 ha introdotto la responsabilità amministrativa ( rectius penale/amministrativa ) diretta da reato delle persone giuridiche.
Attraverso la ” personalizzazione dell’ente “, l’ente diventa centro autonomo di imputazione, diverso ed ulteriore rispetto all’agente persona fisica.
Dal principio ” societas delinquere non potest ” al vigente principio “ societas punire potest “.
Dunque se l’ente diventa centro autonomo di imputazione possono applicarsi all’ente gli istituti procedurali non espressamente previsti per l’ente ? In particolare può essere ammesso l’ente all’istituto della messa alla prova ?
La discussione giurisprudenziale di merito ha portato a contrapposte soluzioni : Trib. Milano – ordinanza 27 marzo 2017 nega l’applicabilità dell’istituto al pari dell’ordinanza Trib. Bologna dd 10.12.20201 e al Trib.Spoleto ordinanza 21.4.2021 – mentre Trib.Modena – 0rdinanza dd 11.12.2019 e 15.12.2020 ed in ultimo il Trib di Bari con ordinanza dd. 22.6.2022 ritengono applicabile all’ente l’istituto della messa alla prova.
Si passa da un’interpretazione restrittiva e letterale della norma che prevede solamente per l’imputato e non per l’ente di usufruire della messa alla prova – si badi che il dlgs 231 non ha espressamente previsto l’ammissibilità dell’istituto – ad una interpretazione lata che ammette la possibilità, non espressamente vietata dal legislatore e sicuramente favorevole all’ente.
La messa alla prova per adulti introdotta dal l.28 aprile 2014 n.67 è ammessa per reati puniti solo con la pena pecuniaria , con quella detentiva sino a quattro anni – senza tener conto di alcuna aggravante anche speciale ( Cass pen SSUU 31.3.2016 n.36272) ovvero per uno di quelli previsti all’art. 550 , comma 2 cpp di competenza del tribunale monocratico con citazione diretta a giudizio.
Il beneficio, di cui si può usufruire una sola volta , deve essere richiesto dall’imputato, anche in fase di indagine preliminare dopo l’avviso di conclusione delle indagini, prevede la sospensione del procedimento penale, un tipo di affidamento al servizio sociale tramite l’ufficio Esecuzione Penale Esterno , ed è prevista una prestazione gratuita di lavori di pubblica utilità; in esito positivo , dopo l’udienza di verifica , il reato è estinto; in difetto si avrà la dichiarazione di revoca del beneficio e la ripresa del procedimento penale.
I profili problematici dell’applicazione all’ente dell’istituto di cui si tratta riguardano la mancata espressa previsione normativa dell’istituto e poiché nessuna norma di cui agli artt. 168 bis cp , art.464 bis cpp e neppure il Dlgs 231/2001 ne prevede espressamente , l’unica strada ermeneutica per sciogliere la questione riguarda la possibilità di un’applicazione analogica dell’istituto.
Se la natura dell’istituto fosse di diritto processuale , non vi sarebbe ostacolo ad eventuale interpretazione in analogia ; diversamente se la natura fosse sostanziale , allora è da escludersi tassativamente la previsione di estensione dell’istituto in malam partem, stante il principio costituzionale della riserva di legge .
Ma l’operazione analogica sarebbe ostacolata anche da incertezze operative perché l’ambito di applicazione della messa alla prova per gli enti rimarrebbe impreciso : non sarebbero chiari i requisiti oggettivi di ammissibilità ; ed invero per la persona fisica l’art. 168 bis cpp accorda il beneficio alla persona che non ha goduto in precedenza e che si proceda per i reati di cui si è indicato sopra ; quali sarebbero i requisiti oggettivi previsti per l’applicazione del beneficio agli enti ?
Sicuramente l’ammissibilità è subordinata all’imprescindibile prerequisito di avere un modello di organizzazione, gestione e controllo, prima del fatto , che tale Mog sia stato valutato idoneo dal Giudice , poiché solo in tal senso potrà essere possibile formulare un giudizio positivo in ordine alla futura rieducazione dell’ente .
L’ultimo arresto giurisprudenziale, nell’indicata discussione, consta nell’ordinanza dd. 22.6.2022 del Tribunale di Bari.
Nel caso in esame la vicenda processuale vede interessata una SRL unipersonale chiamata a rispondere del reato di cui all’art. 25 septies dlgs 231/2001( Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse in violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro ) ; il difensore formulava formale richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova , facendo pervenire il programma di trattamento ; il pubblico ministero si rimetteva alle determinazioni del Tribunale di Bari.
Nell’ordinanza il Tribunale di Bari ha ammesso l’ente richiedente al beneficio della messa alla prova ritenendo che l’applicabilità dell’istituto non comporti una violazione dei principi di tassatività e riserva di legge : ” il divieto di analogia opera soltanto quando genera un effetto sfavorevole per l’imputato : la messa alla prova per l’ente determinerebbe ,invece, un ampliamento del ventaglio di procedimenti speciali a sua disposizione, consentendogli una migliore definizione della strategia processuale “
La funzione rieducativa dell’istituto della messa alla prova riprende il significato del quadro normativo del sistema 231 che risponde ad una logica di prevenzione del crimine , da perseguire proprio attraverso la rieducazione dell’ente ” nella finalità di deflazione del carico giudiziario e di perseguire un reinserimento anticipato sociale del soggetto “.
In effetti è condivisibile l’assunto del giudice di Bari : non pare vi sia incompatibilità tra l’istituto e l’imputato persona giuridica che può provvedere in maniera tempestiva , attraverso l’istituto , alla eliminazione degli effetti negativi dell’illecito, al risarcimento degli eventuali danneggiati e alla modifica del modello di organizzazione e gestione attraverso il potenziamento delle procedure di controllo relative all’area aziendale in cui si è verificata l’azione criminosa
La finalità è conforme anche all’impegno che porta sempre più a configurare un diritto penale che metta in essere il maggior numero possibile di strumenti riparativi , tenendo la detenzione carceraria come ultima risorsa e , dunque, la mera sanzione pare maggiormente educativa se affrontata attraverso un istituto di “riparazione sociale “.
Infatti la finalità perseguita dal sistema sanzionatorio 231 è di prevenzione speciale in chiave rieducativa: si vuole indurre l’ente ad adottare comportamenti riparatori dell’offesa che consentano il superamento del conflitto sociale instaurato con l’illecito; idonei e concreti ed efficaci modelli organizzativi che incidendo strutturalmente sulla cultura di impresa, possano consentire di operare sul mercato nel rispetto della legalità attraverso un inserimento con nuova prospettiva di legalità
In conclusione, in assenza di espresso divieto e pregiudizio, ammettere l’ente al beneficio di cui all’art. 168 bis cp- sul presupposto di esser dotato di un modello di organizzazione , gestione e controllo- rappresenta un fine che è necessario percorrere in attesa di una modifica normativa che la giurisprudenza sta colmando con pronunce di merito – si spera – omogenee.