Il Tribunale di Roma prima e la Corte di appello di Roma poi, avevano respinto una domanda tesa a far dichiarare inefficaci tre pagamenti effettuati dalla società poi caduta in Amministrazione Straordinaria (procedura concorsuale simile al fallimento) in favore di un’altra società, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2 (che prevede la revoca dei pagamenti di debiti liquidi ed esigibili se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato di insolvenza del debitore).
La domanda fu respinta perché la procedura non avrebbe dato prova, appunto, del requisito soggettivo della scientia decotionis, ossia della conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell’accipiens al momento del pagamento.
La questione esaminata dalla Corte di Cassazione è se la pubblicazione di vari articoli di giornali nazionali, riportanti notizie della crisi di una società poi ammessa alla procedura concorsuale, possa essere valorizzata al fine di presumere la conoscenza dello stato di insolvenza in capo al soggetto che ha ricevuto i pagamenti, poi oggetto di azione revocatoria.
Con sentenza n. 23650 – sezione I d.d. 31.08.2021, la Corte di Cassazione, contrariamente quanto stabilito dai giudici di merito, ha affermato la piena idoneità della pubblicazione di articoli di stampa a costituire serio indizio da cui, assieme ad altri, potere trarre la prova della sussistenza della scientia decotionis da parte dell’accipiens.
Tale principio, fondato sulla base di altre precedente sentenze della Suprema Corte, ha in sostanza affermato che l’inesistenza di un dovere di lettura della stampa, non esclude che, in concreto, secondo l’”id quod plerumque accidit” (ossia di ciò che normalmente accade), una parte notevole della popolazione, specie quella professionalmente qualificata, sia solita consultare la stampa ed informarsi di quanto essa pubblica, così da essa attingendo notizie utili in proprio favore.