Il Tribunale di Milano – Sezione specializzata in materia d’impresa (sentenza dd. 27 maggio 2021, RG 34316/2016 – 34317/2016, est. Crugnola) si è recentemente pronunziato sull’annoso tema dei rimedi esperibili a fronte della cessione di quote societarie avvenuta in violazione di una clausola statutaria di prelazione, ovverosia la clausola, contenuta in molti statuti, che impone al socio che intenda alienare le proprie partecipazioni, di offrirle preventivamente agli altri soci e comunque di preferire questi ultimi a soggetti terzi, ove i soci si offrano di acquistare le partecipazioni alle medesime condizioni (e cioè pareggiando l’offerta del terzo).
Il Tribunale, nel richiamarsi ai precedenti di cui a Cass., 2 dicembre 2015, n. 24559 e Trib. Milano, 9 marzo 2015, ha evidenziato da un canto come il carattere negoziale e non legale della clausola di prelazione implica che la cessione avvenuta in violazione della stessa (e cioè in difetto della c.d. denuntiatio) non possa essere dichiarata nulla, invalida o inefficace, bensì inopponibile alla società ed ai soci titolari del diritto di prelazione, ed ha altresì sottolineato – prendendo così posizione su un tema ampiamente dibattuto in dottrina – come la c.d. efficacia reale della clausola vada intesa non come diritto potestativo del socio pretermesso di riscattare la partecipazione dal terzo acquirente, come avverrebbe in caso di controversia sulla proprietà o il possesso delle partecipazioni, ma quale inefficacia/inopponibilità rispetto alla societàdell’atto di trasferimento avvenuto in violazione della clausola. L’acquirente non avrà dunque diritto di ottenere l’iscrizione a libro soci, non sarà legittimato all’esercizio dei diritto sociali, né potrà alienare a sua volta la partecipazione con effetto verso la società.
Qualora dunque un socio abbia alienato le proprie partecipazioni in violazione di una clausola di prelazione, dovrà essere individuata correttamente la strategia legale per porre rimedio a tale violazione, evitando di proporre domande giudiziali passibili di essere rigettate (fermo restando che la società potrà anche semplicemente limitarsi a negare al terzo acquirente l’esercizio dei diritti sociali, la società o il socio non potranno attivarsi per fare accertare la nullità della cessione o per riscattare le partecipazioni dal terzo, ma semmai dovranno richiedere la declaratoria di inopponibilità dell’alienazione avvenuta in violazione della clausola).
Sotto autonomo profilo, il Tribunale ha osservato come la violazione di una clausola di prelazione non conduca automaticamente ad un danno: compete al socio che lamenti la violazione della clausola statutaria provare di avere subito un pregiudizio dalla cessione della partecipazione al terzo. Quello che l’ordinamento mira a tutelare non è infatti il mero rispetto del procedimento di cessione, bensì lo specifico interesse del socio all’acquisto della partecipazione (in questo senso cfr. Cass., 23 luglio 2012, n. 12797). Nel caso in esame, la reazione del socio alla violazione era intervenuta a distanza di quasi cinque anni dalla cessione, il che è stato ritenuto dal Tribunale sintomatico del disinteresse dell’attore all’acquisto delle quote. La decisione di richiedere il risarcimento dei danni dovrà essere pertanto adeguatamente ponderata e la relativa domanda potrà essere formulata solamente ove possa essere supportata da un idoneo corredo probatorio.