Cassazione: il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza non ha alcun impatto sui “reati fallimentari”

[vc_row css=”.vc_custom_1582185797434{padding: 7% !important;}”][vc_column][vc_column_text]Il Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 ha introdotto il nuovo “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, in attuazione della Legge 19 ottobre 2017, n. 155.

Con ciò, il Codice ha riformato la disciplina vigente sulla crisi d’impresa e sull’insolvenza a seguito di modifiche di molti tratti essenziali.

Sulla portata del Codice in materia criminale, costituendo le norme contenute in esso il fondamento extrapenale di molte fattispecie di reato (in particolare nella materia dei cosiddetti “reati fallimentari”), la Cassazione ha evidenziato che: (i) anzitutto, il Codice, per quanto rilevante ai fini penali, non è ancora entrato in vigore, (ii) “le nuove norme appaiono in perfetta continuità normativa con le precedenti norme contenute del Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267” (Legge Fallimentare), sicché “non vi è […] alcuna discontinuità del precetto penale (né la risposta sanzionatoria risulta diversa) che subentrerà all’attuale disciplina”, e (iii) alla luce del Codice, “non si ravvisano elementi concreti – e certo non possono esserlo la diversa distribuzione di compiti e poteri del giudice delegato, del curatore, dei creditori e del soggetto interessato e le diverse scansioni processuali – tali da mutare il presupposto, l’“insolvenza dell’impresa”, su cui si fondano le norme penali, che, difatti, sono rimaste immutate, tranne nell’aggiornamento del lessico dei nuovi presupposti di applicabilità”.

La sentenza[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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